Diritto Sindacale


1.       DIRITTO SINDACALE 10/01/2011 –  Modifica del sistema sindacale (Tsunami Marchionne)


A seguito dello “tsunami Marchionne” sono mutate le regole di negoziazione e rappresentanza condizionando l’intero assetto del Diritto Sindacale: è una vicenda simbolica che porta ad un cambiamento nei due stabilimenti principali modificando sull’intero territorio nazionale il sistema sindacale, e ciò non perché si vuole dare una svolta dall’oggi al domani, ma perché la FIAT non è solo più una azienda italiana, ma adesso è una impresa globale con interessi produttivi in tutto il mondo (Brasile, America Latina, Polonia, Serbia, Turchia), e quindi ha perso d’interesse rispetto al mercato italiano, in quanto l’Italia è divenuto un tassello alquanto limitato di un sistema che è adesso globale.
Al centro non ci sta più il settore, ma l’azienda multinazionale (appunto la FIAT), ed è chiaro che questo cambiamento è epocale in quanto bisogna cambiare il sistema senza cambiare le leggi, nel quadro delle regole vigenti che sono abbastanza inadeguate in relazione al nuovo scenario, ed è come se la realtà anticipasse i tempi e le discipline.
Il Diritto Sindacale si divide in:
Ø  Sistema sindacale, il soggetto sindacale con tutti gli organismi di rappresentanza, come si fa a organizzare e regolare il pluralismo sindacale formato e gli eventuali accordi tra i vari sindacati e le aziende, dissenso, norme di regolazione, tutele;
Ø  Attività posta in essere dal sindacato: il sindacato si definisce tale se riesce a stipulare accordi con associazioni di imprenditori o singoli imprenditori, sistema di contrattazione collettiva all’interno del quale si svolge quest’attività di regolazione congiunta dei lavori mediante quel negozio che è il contratto collettivo;
Ø  Conflitto: cosa succede se non si raggiunge un accordo, se le parti non danno luogo ad un accordo a tal punto da far nascere lo sciopero (riconosciuto in Italia come diritto).
E’ nata la questione giuridica se titolare del diritto di sciopero è il sindacato o il singolo lavoratore: nel caso in cui si pone in essere un’attività di sciopero da lavoratori non iscritti al sindacato, la violazione della clausola di tregua fa sorgere inadempimento? No, in quanto lo sciopero è comunque un diritto del lavoratore che non fa nascere alcun effetto giuridico, ma con la modifica del sistema sindacale in tali casi potrebbero essere presi provvedimenti di carattere disciplinare (compreso il licenziamento) nei confronti dei lavoratori inosservanti della clausola di tregua (v. Accordo FIAT).
E’ importante capire come è il sistema attuale e come viene modificato (rischia di esserlo) alla luce di queste vicende ultime legate alla FIAT.
La FIAT da impresa nazionale è stata organizzata come “New company” facendola divenire una impresa globale, non circoscritta all’Italia, ma estesa a tutto il mondo, inglobando la Chrysler e improntandosi sullo schema sindacale americano, cristallizzando l’accordo rivedendo le regole sindacali, e le regole sul conflitto: per poter far sopravvivere la FIAT è stato necessario scardinare il precedente sistema dando carta bianca sull’’organizzazione sindacale.
Gli impianti devono lavorare più tempo possibile (sei giorni lavorativi), 280 mila vetture l’anno (Suv Chrysler ed Alfa Romeo), investimento di oltre un miliardo di Euro, lavoro individuale di 40 ore settimanali, aumento del reddito annuo di oltre 3.700€, 18° turno con il solo straordinario, colpire gli assenteisti, recupero massimo dell’attività del lavoro, diminuzione delle pause e dei riposi, controllo della conflittualità.
Un primo livello d’incidenza è quello delle condizioni di lavoro; il secondo è quello che ha suscitato più critiche: modifiche dei diritti individuali e sindacali (limiti al conflitto, riduzione delle libertà costituzionale, etc.) prevedendo però un aumento di retribuzione: i lavoratori italiani sono pagati molto meno rispetto a quelli tedeschi (le auto tedesche sono però di migliore qualità).
L’industria manifatturiera tedesca è molto forte poiché basato sull’apprendistato che comporta da un lato maggiore prezzo sul mercato ma migliori garanzie sul prodotto.
Lo schema classico della relazione tra le fonti prevede che sia legge che il contratto collettivo di categoria stabiliscono la piattaforma minima dei diritti contribuendo ognuno per la propria parte un limite di diritto sotto il quale non si può andare, ma che può sempre essere migliorato (e mai ridotto), quindi disposizioni legislative o contratti collettivi di superiore livello possono migliorare le clausole negoziali.
La Fiat ha detto che il proprio contratto non è di secondo livello (integrativo), recedendo da quello di primo livello (del sindacato), ne stipula uno nuovo (di primo livello) che può derogare a quello precedente metalmeccanico (e la legge). Si giustifica con la modifica della FIAT in una nuova società (poiché vi è la fusione con la Chrysler) che non aderisce al vecchio contratto: e come se la FIAT dicesse che non aderisce ad un contratto di doppio livello, ma a livello unico (aziendale) regolando e disciplinando istituti (anche in maniera derogatoria), a suo dire non in maniera peggiorativa (sic!).
Si afferma il principio che il contratto d’azienda può anche porsi anche in maniera peggiorativa rispetto al contratto nazionale: se lo sciopero viene considerato illegittimo non può che esserci un peggioramento rispetto alla situazione precedente. Vi era quindi il divieto della modifica in peius: oggi viene adoperata una modifica in peius. Addirittura la modifica avviene da un soggetto che non è un sindacato (quel soggetto che avrebbe potuto avere sulla base rappresentativa una qualche potestà di modifica anche in peius). Questa deroga è avvenuta in seguito alla sottoscrizione solo da una parte dei sindacati: quello più rappresentativo ha rifiutato la sottoscrizione il che produce una forte conseguenza: i sindacati quindi non si muovo all’unisono.
La deroga viene sancita sulla base di una spaccatura del sistema sindacale: la regola che può governare questa situazione di conflittualità in realtà non esiste: è una situazione nuova che non è stata disciplinata e quindi ci si domanda se fosse necessaria introdurre una Legge che regoli il sistema di rappresentanza sindacale, ma i sindacati si rifiutano ad accettare una regolazione legislativa tra i rapporti e le relazioni sindacali. Se c’è un dissenso radicale e non c’è più possibilità di cambiar idea è chiaro che l’unico soggetto che è in grado di dare una risposta sia il legislatore, ma l’attuale Governo si rifiuta a regolare qualcosa che è propria dei sindacati.
Il rischio vero è quello che la giurisprudenza mediante i giudici debba esprimersi in tal senso. La contrattazione aziendale è di tipo organizzativo, e la giurisprudenza ha inteso l’efficacia erga omnes (fino ad ora). Il contratto collettivo è in Italia regolato dalle norme di diritto comune (Diritto del Codice Civile) in quanto non è stata data mai attuazione alla seconda parte dell’Art.39 Cost. relativa alla regolamentazione sindacale e dell’efficacia del contratto collettivo.
Questi contratti sulla base dello schema della rappresentanza dovrebbero funzionare solo sulla base di un mandato concesso dal lavoratore al sindacato, a secondo la regolazione della Costituzione il contratto avrebbe avuto efficacia obbligatoria per tutti anche senza iscrizione: la delegazione sindacale doveva essere costituita in proporzione al numero degli iscritti, essere rappresentativa introducendo quindi il sistema del principio di rappresentatività degli associati (sistema in Italia mai eseguito). Nel nostro sistema vige a tutt’oggi un sistema in cui il contratto collettivo non è erga omnes ed è regolato dal Diritto Civile così come è disciplinato nel Codice Civile).
Nel nuovo sistema le assenza non vengono pagate (si perde il diritto alla retribuzione in caso di assenteismo). Il problema si rovescia: ci sono gruppi di lavoro che si dicono non rappresentati dai sindacati che hanno sotto scritto il contratto peggiorativo. Il problema si risolve dicendo che gli accordi aziendali implicano riorganizzazione riguardando materie indivisibili di fatto sono vincolanti per tutti i lavoratori poiché riguardano l’organizzazione del lavoro e sarebbero di natura tale da finire a regolare interessi indivisibili tanto che sarebbe impensabile applicare la rappresentanza associativa.
I giudici spesso rispondono che in caso di dissenso (a meno che il contratto sia stato firmato dai sindacati maggiormente rappresentativi) vi deve essere rispetto di esso stesso. Al di là del fatto che sia previsto un referendum (che la FIOM dice essere senza valore poiché non è libero) Marchionne non porrà investimenti in caso di non adesione al contratto. Le regole non si possono inventare di volta in volta, ma così avviene. Al di là dell’esito referendario nulla esclude che finito l’accordo un gruppo di lavoratori vada davanti al giudice chiedendo l’esclusione dal contratto, e nulla esclude che il giudice dia ragione. Marchionne allora dice che le relazioni aziendali non sono governabili per cui il sistema non è regolato.
Di fronte a ciò molti giuristi dicono che è arrivata l’ora di introdurre una legge che dia certezza anche a certe condizioni con presenza derogatorio, etc.

2.      DIRITTO SINDACALE 11/01/2011 – Rappresentatività sindacale


L’Italia dall’inizio del 1900 è stata caratterizzata dall’industria automobilistica, ma con lo “Tsunami Marchionne” ha modificato irremediabilmente questa industria al punto da farla divenire una multinazionale. Come è possibile che una situazione di fatto, una vertenza, possa influenzare il sistema giuridico? Come fa un fatto di cronaca ad avere delle ricadute immediate sull’ordinamento? Questo avviene perché il diritto sindacale in Italia è poco legificato in cui si regolano alcuni diritti base e tutto il resto è in qualche modo oggetto di regolamentazione autonoma delle parti sociali.
La regolamentazione è affidata ai soggetti dell’ordinamento, e quindi il sistema sindacale di fatto non può che influenzarlo in quanto coincidente: i fatti finiscono per creare le regole e non viceversa. I cambiamenti avranno delle ricadute in ambito di contrattazioni collettive. I contrappesi sono pesanti, ma Marchionne sta riuscendo grazie alla sua posizione ad indurre un cambiamento abbastanza repentino. Una regola non scritta del sistema sindacale italiano viene stabilita col consenso di tutti i soggetti, e Marchionne però vuole affermare l’idea che i cambiamenti possano avvenire senza il consenso di tutti (FIOM e CGIL).
Si è deciso di continuare per la strada del cambiamento contro una parte dei soggetti che fino ad ora hanno partecipato alla costruzione del sistema. Marchionne con una frase riassume la sua filosofia dicendo che in Italia ci sono due modelli: conservazione e cambiamento, e l’Italia se vuole salvarsi deve modificarsi. Egli vuole iniziare dalle relazioni sindacali. Con l’accordo che hanno fatto i lavoratori della catena di montaggio (malgrado la tecnologia) funziona ancora come decenni orsono, e mediante una distribuzione scalare si poteva godere di trenta minuti di pausa (tre intervalli di dieci minuti): lo scopo è quello di abolire le pause per far lavorare le catene in continuità; la FIOM si è rifiutata.
L’altra controversia sussiste sui turni di lavoro: l’idea è che nella industria manifatturiera per sostenere la continuità globale ogni minuto deve essere lavorato: non si possono fare pause, pause-pranzo, etc., durante l’orario di lavoro; la FIOM si è rifiutata. La questione è stata posta in termini di “prendere o lasciare”, il capitale è effettivamente globalizzato e quindi o si raggiunge l’accordo oppure Marchionne chiude la fabbrica di Torino (FIAT) e se ne va a Detroit. La FIOM solitamente contratta per evitare licenziamenti e quindi spesso deve rinunciare a taluni diritti, allo stesso modo si comporta la CGIL, ma questa volta i diritti da caducare sono eccessivi e quindi si ritiene che i provvedimenti proposti da Marchionne non sono sindacabilmente accettabili.
Viene in discussione il concetto di rappresentatività sindacale: vi sono sindacati di tutti i generi legati a qualsiasi orientamento, religione, filosofia, politica, territorio, etc. In Italia c’è stato un criterio che è quello della rappresentatività sindacale. Come si fa a decidere quale sia il sindacato più rappresentativo? Ci sono vari metodi di computo, ma una delle regole fino ad ora invalsa era quella che tutti i sindacati più o meno rappresentativi avrebbero dovuto partecipare alla concertazione sociale.
Ad oggi si sta decidendo non già sulla base della rappresentatività sindacale, ma su un principio di democrazia diretta: referendum. La democrazia diretta può non coincidere con la democrazia rappresentativa. Il caso FIAT non rende necessaria una riforma nel settore privato come nel settore pubblica dove i sindacati hanno un tasso di rappresentatività computato dalla media ponderata tra numero di iscritti e voti oppure lo si debba fare sulla base di una contrattazione?
C’è un problema di assoluta anomia, mancanza di regole, è stato messo in discussione dalle parti l’accordo (dopo circa quindici anni): bisogna decidere il criterio di rappresentanza; lo deve fare il legislatore? Il Governo dice no; secondo l’esecutivo devono essere le parti a decidere, ma è pure vero che le parti sono in completa discordanza. Come fa un contratto collettivo avere validità generale? Perché è contratto nazionale e si vuole porre come norma di primo livello che fissa le norme generali; le norme di secondo livello sono quelle aziendali, territoriali, che specificano quanto delineato dalle norme di primo livello.
Marchionne dice che non vuole stare più come FIAT all’interno del contratto di metalmeccanici in quanto non si può stare poiché eccessivamente restrittivo. Marchionne è uscito da Confindustria, ha creato la New Company e ha disdetto il contratto metalmeccanico. La FIAT (che è la più grossa industria metalmeccanica) non è più in questo contratto dei metalmeccanico, pertanto ne resta fuori. Secondo il nuovo contratto, nessuna clausola può essere disapplicata in quanto sono previsti anche delle compensazioni, si desume la sua applicazione erga omnes in quanto vi è indivisibilità delle materie, quindi l’applicazione verso tutti avverrebbe “per natura”: gli interessi sono indivisibili, ma non sta scritto da nessuna parte; “l’erga omnes” sarebbe sussistente solo in caso di legificazione, ma in questo caso non c’è legislatore, e la cogenza erga omnes nasce non già da una normazione ma dai fatti.
Mentre la Cassazione tende ad accettare questo ragionamento non può valere la regola della rappresentanza privatistica che vede il sindacato come una associazione non riconosciuta. Il sistema dell’art. 39 seconda parte non è stato applicato, e non si può raggiungere lo stesso fine lì delineato se non passando proprio da lì. La rappresentanza del Diritto Provato ci dice che l’atto del mandatario si ripercuote solo su mandante, ma nel Diritto Sindacale l’atto del Sindacato vincolerebbe anche i non iscritti al Sindacato, come se esso fosse un ente politico istituzionale (di natura similpubblicistica).
La forzatura della situazione è che la cogenza erga omnes sia desumibile dai fatti.

3.      DIRITTO SINDACALE 12/01/2011 – Le diverse tipologie di contratto collettivo


Mentre il contratto collettivo può essere considerato un sistema di regolazione di lavoro, invece la contrattazione collettiva è la procedura che crea queste regolazioni, la procedura che termina con la creazione del contratto collettivo. Il sistema italiano a partire dal protocollo del 1993 si basa su due livelli: livello di categoria ed aziendale. Fra i diversi livelli si stabilizzano diverse relazioni, attraverso accordo quadro si danno le regole per armonizzare ed equilibrare i rapporti fra i diversi livelli di contratto collettivo. La struttura della contrattazione poiché implica diverse tipologie ci fa capire come diversi sistemi hanno sistemi alquanto complessi.
Il sistema legale normativo è complesso, ed allo stesso modo questa fonte di regolazione ha una sua complessità interna che va studiata e percepita bene. E’ implicito questo riferimento tra legge e contratto collettivo erga omnes, in quanto il contratto di diritto comune è vincolante solo per i soggetti che vi si vogliono vincolare. Si tratta di sistemi e fonti articolati e complessi.
Se riferiamo questo discorso al contratto collettivo come fonte esistono nel nostro ordinamento tipologie diversificate di contratti la cui differenza non è d’interesse territoriale, ma d’interesse d’efficacia giuridica, in quanto cambia la sostanza. Il contratto previsto dalla seconda parte dell’Art. 39 Cost. sarebbe stato erga omnes, ma non è stato mai applicato. Se fosse stata attuata la Costituzione si avrebbe avuto per quel contratto collettivo si avrebbe avuto un contratto erga omnes di categoria, un elemento di forte giuridificazione del sistema contrattuale.
Per efficacia ultra vires obbligatoria s’intende un doppio effetto: un effetto di tipo orizzontale (il contratto è obbligatorio a tutti i soggetti indipendentemente dall’iscrizione al sindacato, i quali rientrano nell’ambito di giurisdizione della categoria) di efficacia soggettiva in estensione; l’altro effetto è in qualche modo connesso con una cogenza di fonte normativa ed è ti tipo verticale (tutti i soggetti sotto la giurisdizione di quella legge sono assoggettati anche al contratto: nel caso in cui il contratto non si dovesse applicare è sostituito dalla legge con medesimo effetto della norma imperativa).
L’effetto d’imperatività del contratto erga omnes è il medesimo di quello della legge imperativa: esplica il proprio effetto orizzontalmente per categoria e si applica verticalmente al di là di una difforme volontà del contratto collettivo. Nel nostro sistema non esiste un contratto di questo tipo, perché l’unico modello era previsto dalla seconda parte dell’Art. 39 Cost. mai attuato (ma che potrebbe essere attuato). Al sindacato potrebbe esser attribuito un potere pubblicistico, ma in quanto privato, autonomo e distaccato dallo Stato non gli si può attribuire potere pubblicistico, ma allora ci si chiede se i suoi atti sono equipollenti a quelli del legislatore. I sindacati per agire come il legislatore avrebbero dovuto raggiungere un compromesso con lo Stato previsto dal sistema costituzionale: per ottenere l’efficacia erga omnes (potere non più di mera rappresentanza associativa, ma politico istituzionale) con contratto unitario, era necessario rispettare taluni principi: democrazia (configurazione interna d’organizzazione su base democratica con referendum, etc.), trasparenza (niente segretezza), registrazione (forma giuridica d’associazione riconosciuta, con responsabilità patrimoniale, etc.), controllo da parte dello Stato (non di fini o di scopi).
Per una certa fase storica il legislatore di fronte all’incapacità politica e sindacale di applicare l’art. 39 previde un governo del pluralismo con il principio proporzionalisti (delegazione unitaria di tutti i sindacati formata in proporzione del numero degli iscritti ai sindacati), ma i sindacati rifiutarono, e legittimare quel meccanismo consisteva nel consegnare le chiavi della concertazione al sindacato più rappresentativo. Il meccanismo della delegazione unitaria avrebbe comunque implicato un controllo dello Stato sui sindacati poiché solo un organo pubblico (prefetture) avrebbero potuto controllare il rispetto delle condizioni con poteri inquirenti, di controllo, etc.
Negli anni ’50 i sindacati rifiutarono il contratto collettivo erga omnes perché non si fidarono dello Stato, del Governo di allora e dei computi, pertanto il contratto collettivo erga omnes nei fatti non c’è. Nel ’59 (i grandi dei sindacati erano in parlamento) sulla base di questa transizione infinita, di questa indecisione, il Governo si volle inventare un meccanismo per attuazione erga omnes: poiché vi è un’ampia produzione di contratti collettivi posti dai sindacati, si crea una legge con cui si recepiscono tutti i contratti acquistando efficacia erga omnes derivata.
La Corte Costituzionale rispose a questo comportamento affermando che non era possibile incorporare i contratti collettivi come procedimento ordinario con reiterazione a cadenza temporale costante bypassando l’art. 39 dichiarando quindi incostituzionale tutti i decreti legge successivi reiteranti l’incorporazione.
Per cui sono ancora in vigore i primi decreti legge ma in effettivi perché superati da altri contratti collettivi (non più recepiti). I contratti collettivi corporativi sono formalmente in vigore in quanto transitoriamente recepiti nel 1944 ma che nessuno applica più. Il contratto collettivo di Diritto Comune è dominante (il 98% dei contratti collettivi hanno questa forma) e regolano la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro ma paradossalmente sono gli unici che non hanno una regolamentazione normativa.
Ricapitolando, i contratti collettivi (chiamati unitariamente Fonti Negoziali, che assieme alle Fonti Normative costituiscono tutte le Fonti del Diritto del Lavoro) sono quattro, ma solo l’ultimo (quello non regolamentato per norma) è utilizzato:
Ø  Il contratto collettivo “costituzionale” (ipotesi della seconda parte dell’art. 39);
Ø  Il contratto collettivo corporativo (incorporati nel regime transitorio del ’44);
Ø  Il contratto collettivo esteso erga omnes (incorporato con D.L. nel ’59);
Ø  Il contratto collettivo di diritto comune.
Il contratto collettivo di Diritto comune non è una fonte semplice ed omogenea, bisogna guardarlo sotto lo specchio rifrangente della contrattazione collettiva che è la procedura che produce contratti collettivi. Vi è quindi un sistema di livelli subordinati al contratto collettivo di diritto comune: interconfederale, aziendale, di categoria, territoriale. Ci sono quindi contratti d’ambito differente comportando problematiche giuridiche di tipo diverso. Il contratto nazionale di categoria è un contratto di mai efficacia giuridica erga omnes ma la giurisprudenza lo ha applicato come se fosse erga omnes attraverso la “tesi regina” giurisprudenziale che razionalizza ex post il fatto che il contratto di categoria lo applica a tutti sulla base dell’utilizzo giurisprudenziale dell’art. 36 Cost. (e non 39), con un principio nato da una sentenza degli anni ’50, ragionando sul filo della retribuzione sufficiente, ed essendo questa norma precettiva e non meramente programmatica, dev’essere subito applicata (mediante il contratto collettivo nazionale astrattamente applicato).
Viene tirato in ballo anche l’art. 2099 del c.c. sull’equità, e quindi sono tre gli elementi che il giudice utilizza per far divenire il contratto sostanzialmente erga omnes in via di fatto. Se in un settore non ci sono contratti collettivi si va a guardare un contratto collettivo analogo e va applicato e non c’è un’operazione imperativa ma di equità sociale. Attraverso il giudice il contratto nazionale di categoria viene utilizzato “a valle” erga omnes (senza riconoscimento “a monte” di giuridicità). I contratti collettivi di diritto comune sono quindi:
Ø  Gli accordi interconfederali;
Ø  Il contratto collettivo nazionale di categoria;
Ø  Il contratto collettivo aziendale;
Ø  Il contratto collettivo territoriale (commercio, edilizia, agricoltura, etc.)
C’è un immediato ribaltamento del potere sul Lavoro: c’è un ampio decentramento di questo potere tale da dar maggior forza ai management locali, ai sindacati territoriali, a discapito dei contratti collettivi nazionali, ed il sindacato nazionale resta spiazzato, poiché così facendo perde potere. Conta più il sindacalista aziendale che il segretario generale del sindacato nazionale. Vi è incidenza sul sistema delle fonti e sull’organizzazione del sindacato. Malgrado la razionalizzazione giuridica, sul piano della definizione del soggetto e dell’azione sindacale, si fonda ancora in buona misura sulle regole del diritto privato.
L’ultima parola spetta sempre ai giudici i quali faranno sempre e comunque riferimento a principi di equità che fanno sì che in via di fatto il contratto collettivo nazionale sia fatto rispettare.

4.      DIRITTO SINDACALE 17/01/2011 – Articolazione sindacale: categoriale, federale ed confederale.


Il protocollo Ciampi non si applica perché la FIAT ha costituito una nuova impresa che non è vincolata a Confindustria e quindi al Protocollo del 1993. L’accordo che è stato firmato a Mirafiori è un nuovo tipo di contratto collettivo (di primo livello) perché non si applica il Contratto Collettivo Nazionale. Solitamente il contratto aziendale di categoria integra il contratto collettivo nazionale di categoria, ma quello che è stato firmato a Mirafiori è di primo livello, sostituitosi con quello collettivo nazionale. L’Art. 39 Cost. al primo comma (l’unico precettivo: gli altri sono programmatici) dice che l’organizzazione sindacale è libera: è complessa. C’è una regolazione territoriale (provinciale), regionale e nazionale (confederale).
La Camera del lavoro è intercategoriale (confluiscono tutte le categorie).
Nel periodo corporativo l’idea di categoria preesisteva al sindacato che la rappresentava, ma nel nostro ordinamento è il sindacato a preesistere alla categoria: la categoria non è definita, ed è il sindacato ad individuare la categoria, che non può non essere individuata da un altro sindacato. Nel nostro sistema sindacale in sindacato è d’industria, quindi di categoria. Nel settore pubblico è il legislatore che ha individuato la rappresentatività, ma nel settore privato è necessario deferire la presunzione di rappresentatività alle confederazioni.
Con il protocollo del 1993 sono stati definiti i vari livelli ed i cari criteri di contrattazione: criterio gerarchico ed il criterio di specialità (per cui a livello integrativo non si disciplinano le stesse materie disciplinate a livello nazionale).
Con l’accordo Mirafiori si modifica quello del 1993 poiché esso non è strettamente aziendale, ma viene considerato di primo livello. Il livelli minimi contributivi sono specificati sulla base di voci di rango aziendale. Mentre nel protocollo del ’93 a livello aziendale viene specificato quanto disciplinato a livello nazionale, il contratto Mirafiori disciplina quanto sarebbe dovuto essere disciplinato a livello aziendale.
Non c’è in Italia nessuna legge che individua la gerarchia dei livelli dei contratti ed il rapporto tra i vari livelli, che sono in dipendenza dalla contrattazione negoziale. Non facendo parte di CONFINDUSTRIA, la New Company non è vincolata al protocollo del 1993. La disciplina della concertazione è quella del Diritto Comune, così come descritto nel C.C.
Bisogna individuare quale soggetto è legittimato a far parte della negoziazione. Viene superato il protocollo del ’93 e la FIOM non potrà avere una R.S.A. all’interno dell’accordo. Dentro l’azienda 900 su 5000 votano FIOM e non avranno la rappresentatività, e rimarrà fuori dalla fabbrica, e non si può permettere la costituzione dell’ R.S.U. Quando un sindacato ha un numero di iscritti così elevato ha un certo peso nell’organizzazione sindacale. L’R.S.A. è un’articolazione di categoria (verticale) ed ha una disciplina legale (l’art. 19 St. Lav.) che nella sua vecchia formulazione stabiliva che all’iniziativa dei lavoratori potessero essere costituite organizzazioni sindacale all’interno delle confederazioni nazionali, o all’interno di quelle confederazioni regionali o nazionali legate all’attività produttiva.
Questi due criteri individuavano i destinatari disciplinati dallo St. Lav. Il quale stabilisce che solo questi soggetti possono godere dei diritti sindacali all’interno dell’azienda. La Cort. Cost. è stata adita per la violazione degli articoli 3 e 39 (primo comma) della Cost. La Corte ha salvato entrambi criteri dell’articolo 19 nel ’74 con considerazioni discutibili che però vennero mantenute attribuendo all’art. 19 un carattere definitorio. Si attribuivano rappresentatività presunte alle organizzazioni maggiormente rappresentative con facoltà di tutelare i diritti di quella categoria di lavoratori. Viene individuata la capacità di tutela di una categoria di lavoratori iscritti e non al sindacato.
Chi è maggiormente rappresentativo ha il potere di rappresentare iscritti e non iscritti per la concertazione. Viene individuata l’effettività di tutelare i diritti della categoria protetta, e c’è pure un secondo criterio che attribuisce alle organizzazioni di dimostrare la propria rappresentativa con il firmare un contratto collettivo che tuteli i diritti della categoria.
La Corte viene interpellata perché c’era il rifiuto da parte di un’impresa della costituzione di una R.S.A. di una organizzazione monocategoriale, e salva ancora una volta l’art. 19 garantendo la sua legittimità.
Vi è però una sentenza (30/1990) che rompe col passato: fu interpellata poiché la Cassazione aveva annullato gli atti (due accordi) di “sindacati di comodo” che non erano legati a sindacati maggiormente rappresentativi e non godevano dei requisiti previsti dall’art. 19. La Corte confermò quando stabilito dalla Cassazione ma negò l’esistenza di sindacati di “comodo” in questo caso. Essa mantenne la posizione rispetto all’inderogabilità dei criteri presenti all’interno dell’art. 19 ed invitò il legislatore ad adottare un sistema che facesse pesare l’importanza dei sindacati maggiormente rappresentativi.
Effettivamente non sono più sufficienti ad individuare l’effettiva rappresentatività visto che il modello non era più in grado a rappresentare la situazione sindacale del paese. L’art. 19 stabilisce dei criteri di rappresentatività rispettati i quali i sindacati potevano godere dei diritti sindacali ed inserirsi in un’attività produttiva. In un primo momento la posizione della Cort. Cost. è molto ferma: l’art. 19 individua criteri di selezione, rappresentatività che non è comparata ma è effettività nel rappresentare le necessità dei lavoratori.
Il quadro di riferimento in applicazione della norma è mutato, così come anche la posizione della Corte. I criteri dell’art. 19 sono inderogabili ma sarebbe il caso di adottare disposizioni di  legge che facciano emergere i criteri di valutazione di rappresentatività effettiva. Questa parabola è coincidente con quella delle confederazione maggiormente rappresentative. Non si riconosce più nelle confederazioni maggiormente rappresentative la rappresentatività che si dava per presunta.
E’ bastato che un’impresa uscisse dall’accordo, da modificare completamente la struttura sindacale in quanto manca nel nostro sistema una regolamentazione legislativa. La maggiore rappresentatività è certamente definita nel settore pubblico, ma non si può lo stesso dire per il settore privato (media ponderata tra iscritti e voti).
Nel 1995 con referendum abrogativo è stata eliminata la lettera A. Con una legge degli anni ’70 il legislatore ha individuato involontariamente un criterio di rappresentatività.

5.     DIRITTO SINDACALE 18/01/2011 – RSA ed RSU


Precedentemente le grandi confederazioni godevano di una forte rappresentatività in modo da poter tutelare gli interessi dei lavoratori. Il concetto della rappresentatività è diverso da quello della rappresentanza. Vi era quindi capacità presunta di rappresentatività: chi era più rappresentativo prendeva accordi “erga omnes”. Si pone il problema del superamento della rappresentatività presunta sebbene la Corte Costituzionale ha più volte difeso e tutelato il contenuto e l’effettività dell’art. 19 dello St. Lav (L. n. 300/1970).
Questo criterio dell’art. 19 si credeva apportasse potere d’accreditamento al datore di lavoro reputando tale articolo in conflitto con l’art. 17 che vietava la creazione di sindacati di comodo. La Corte Costituzionale riteneva però che non sussiste potere d’accreditamento ma di misura del potere sindacale, salvando il criterio dell’art. 19. Con un'altra pronuncia viene chiamata in causa la corte costituzionale ritenendo che l’articolo in questione potesse influenzare e/o condizionare i sindacati nella sottoscrizione dei contratti collettivi: la Corte disse che non vi era condizionamento in quanto vi era libera decisione e comparazione sui possibili vantaggi dal contratto, salvando ancora i criteri dell’art. 19.
E’ normale che l’organizzazione sindacale debba compiere valutazioni e quindi non è condizionata da una qualche regolamentazione. Le R.S.A. si costituiscono nell’ambito dell’organizzazione sindacale di qualunque livello con una rappresentatività misurata dall’esterno. Si è resa necessaria la costituzione di un soggetto diverso per rappresentare il voto dei lavoratori e allo steso tempo in grado di garantire e mantenere l’effettività del contratto collettivo nazionale all’interno di soggetti ed enti mediante la formazione delle R.S.U. (Rappresentanze sindacali unitarie) che hanno composizioni miste e vengono eletti per due terzi (da suffragio universale aderenti a qualsiasi cosa o non) e per un terzo sono designati da coloro che hanno stipulato il contratto collettivo nazionale (organizzazioni sindacali).
Per firmatarie si intendono quelle organizzazione sindacali non che aderiscano ma quelle che hanno partecipato alla negoziazione fino a giungere alla firma: e per contratto collettivo legato all’attività produttiva è quello volto a regolare il rapporto di lavoro. Il problema risiede nel fatto che questa rappresentatività possa non riuscire a tutelare tutti i lavoratori. Viene individuato questo meccanismi (RSU) per tutelare gli interessi di tutti i lavoratori (indipendentemente dalla loro adesione o meno ad un sindacato). Il sistema statutario ex art. 19 prevedeva che le RSA fossero presenti solo per coloro che fossero rappresentativi per coloro aderenti a CGIL CISL e UIL, invece le RSU sono rappresentative per tutti i lavoratori (anche i non iscritti).
Nel nuovo accordo con della FIAT non esistono RSU: sono previste solo RSA .
I firmatari del protocollo Ciampi del 1993 hanno rinunciato alla costituzione delle RSA con l’introduzione delle RSA. L’RSU è destinataria degli stessi diritti di cui gode l’RSA secondo l’art. 19.
All’interno di una azienda possono esserci RSU e RSA: RSU rappresenta tutti i lavoratori, e l’organo rappresentativo è formato da 2/3 eletti dai lavoratori, 1/3 designati da CGIL, CILS, UIL; l’RSA rappresenta gli aderenti ad un sindacato X che non rientra o non vuole rientrare (per eletti o designati) nell’RSU.
Si è posto un piccolo problema della composizione interna dell’RSU, che prevede che anche un solo componente può richiedere l’assemblea: l’art. 20 che consente il diritto d’assemblea prevede la richiesta congiuntamente da parte dell’RSA. Nel settore pubblico la rappresentatività è precisamente individuata: media ponderata tra aderenti e votanti. Affinché le trattative abbiano validità devono essere firmate dalle organizzazione maggiormente rappresentative individuate dal legislatore. La legge non è stata però decisiva anche per definire la rappresentatività anche per il settore privato.
Qualora debba essere messa in discussione, sarà il giudice che dovrà verificare il tasso di rappresentatività di un sindacato. Nel settore pubblico è necessario il 5% per sedere al tavolo delle trattative, ed il 51% per condizionare validità alla trattativa.
La FIOM che non firma l’accordo rimarrebbe fuori, e rimarrebbe fuori anche se per assurdo lo firmasse dopo. I sindacati autonomi non confluiscono nelle confederazioni (settore credito, trasporti, professionali, piloti, etc.). Si possono costituire RSA su iniziative dei lavoratori nell’ambito delle organizzazioni sindacali che abbiamo sottoscritto il contratto collettivo nell’ambito dell’attività produttiva.


6.      DIRITTO SINDACALE 19/01/2011 – Le parti del contratto collettivo (Normativa ed Obbligatoria)


Il contratto collettivo è formato da due parti: obbligatoria (che regola i soggetti collettivi: organizzazioni sindacali ed associazioni datoriali), e la parte normativa (che regola i singoli lavoratori nelle loro funzioni). Nei contratti collettivi possono essere previsti elementi di obblighi d’informazione. Gli obblighi che si creano non sono in capo ai singoli soggetti, ma in capo ai soggetti collettivi. La regolamentazione dell’orario di lavoro, delle pause, delle ferie, della retribuzione, fa parte della parte normativa, che regola i contenuto del contratto di lavoro individuale. Le clausole strumentali sono invece nella parte obbligatoria (clausole che prevedono commissioni di arbitrato, organi di vario genere, etc.).
In principio il contratto collettivo era costituito solo dalla parte normativa. La differenza tra le due parti del contratto collettivo di riverbera anche sulle conseguenze dell’eventuale violazione del contratto collettivo: in base a quale parte venga violata, c’è una conseguenza differenze. Se viene violata una clausola della parte normativa sarà il lavoratore a sollevare la questione, invece se la violazione grava sulla parte obbligatoria, sarà il sindacato a sollevarla.
Gli obblighi producono effetti solo nei confronti dei soggetti collettivi. Nella parte obbligatoria vi è il dovere d’influenza: dovere d’influenzare dei datori agli altri associati datoriali di applicare il contratto collettivo. Rispetto al dovere di tregua sindacale, parte della dottrina riteneva tale obbligo era cogente solo in presenza di clausola espressa, e non intesa implicitamente. Il dovere di tregua sindacale ha un carattere normativa e si riferisce alle materie disciplinate dal contratto collettivo. Le azione dirette devono essere limitate solo alle contese relative strettamente alle esplicitazioni del contratto collettivo.
Per evitare i conflitti nel tempo sono state inserite regole di procedimentalizzazione del conflitto per regole riguardanti l’applicazione dei contratti collettivi (nel settore privato e non già nel settore pubblico). E’ stato inserito un meccanismo di raffreddamento per tutti contratti collettivi nazionali di categoria con il quale le parti devono negoziare sull’applicazione del contratto senza incorrere ad azioni dirette di controversia. Durante i tre mesi precedenti, ed al mese dopo la scadenza le parti non dovranno procedere ad azioni dirette di controversia, per evitare controversie a ridosso della scadenza del contratto collettivo per garantire un periodo di quattro mesi in cui le parti negoziano sulle trattative reciproche.
A partire degli anni ’70 c’è stata una modifica della parte obbligatoria del contratto collettivo con clausole tutte dirette ad evitare i conflitti con l’individuazione di doveri verso le parti collettive di evitare controversie e varie clausole volte a evitare conflitti determinate dall’applicazione del contratto volte alla procedimentalizzazione dell’esecuzione. Rispetto all’obbligo di pace sindacale, per l’opinione dominante non esiste quest’obbligo nel contratto collettivo, quindi se le parti non lo concordano, esso non sussiste, neanche implicitamente: bisogna che lo si espliciti.
Uno sciopero destinato ad ottenere una regolamentazione di un istituto non disciplinato dal contratto non è contrario alla clausola di tregua: per evitare anche conflitti su questioni non previste è necessaria esplicitare una tregua sindacale assoluta. Le clausole di tregua si basano sul rapporto tra gli obblighi di comportamento sindacale ed il diritto di sciopero. Lo sciopero è un diritto costituzionale che si eserciti collettivamente e ne è titolare la collettività dei lavoratori. Nel momento in cui in un contratto collettivo è previsto un impegno di non promozione d’azione diretta, le parti dovrebbero far in modo che i lavoratori non scioperino. Ma se le parti scioperano sussiste un dilemma cruciale: è possibile violare il diritto di sciopero? 
Lo sciopero è un diritto individuale benché ad esercizio collettivo, elemento dal quale non si può prescindere al momento della contrattazione. Con tali clausole potrebbe avvenire (avviene) che i sindacati limitino il diritto di sciopero (disponendo dei diritti individuali dei lavoratori).